Come allenarsi in palestra: l’importanza dello stretching e la mobilità articolare

La mobilità articolare è tanto importante quanto utile al benessere del corpo, ma spesso dimenticata dagli "addetti ai lavori". Fare stretching ci salva dagli infortuni.
Continuiamo il nostro percorso alla scoperta delle capacità condizionali. Dopo aver analizzato la forza (qui l’articolo), la resistenza (qui l’articolo) e la massa (qui l’articolo), oggi introduciamo una delle qualità che spesso viene dimenticata, anche dagli “addetti ai lavori” (personal trainer, istruttori, professionisti del fitness): la mobilità articolare.

Cos'è la mobilità articolare?

È la capacità delle nostre articolazioni di effettuare tutti i movimenti nel modo più ampio e fluido possibile. Questa dipende dall’elasticità dei ventri muscolari, dei processi tendinei e del tessuto connettivo. Chiaramente, ogni articolazione avrà il su grado di movimento e seguono una classificazione precisa: fisse, ossa del cranio e del bacino, semi mobili, (come quelle tra i corpi vertebrali) e mobili (tra cui l’articolazione scapolo-omerale – ovvero la spalla – è quella con più gradi di movimento). Per rimanere in tema, prendiamo in esame le articolazioni mobili, che sono composte dai capi ossei e dal tessuto connettivo. È sempre presente la capsula articolare, che racchiude i capi ossei, e, nel caso delle articolazioni maggiori, di legamenti che rafforzano la stabilità. I tendini e la muscolatura, profonda e superficiale, conferiscono solidità e premettono i movimenti. Quindi, quando andiamo a parlare di mobilità articolare, dobbiamo tenere a mente tutte le parti che la compongono.

Come si incrementa la mobilità articolare?

La mobilità articolare si incrementa con lo stretching: un allungamento del muscolo che ha lo scopo di migliorare la performance e, soprattutto, di diminuire teoricamente il rischio di infortunio e accelerare la risposta muscolare.

Esiste l’allungamento statico e dinamico, attivo e passivo.

Per stretching statico si intente un allungamento muscolare della durata di pochi secondi (20-40 secondi), nel quale i capi ossei arrivano al punto più lontano (ad esempio, per allungare il bicipite, sarà necessario allontanare il più possibile i capi articolari a cui sono legati, quindi omero e radio).

Per stretching dinamico, invece, si intendono una serie di movimenti, a carico naturale, possibilmente ciclici (o uguali), che portino l’articolazione dal punto di massima estensione a quella minima in modo rapido ma sempre controllato e fluido (ad esempio, la rotazione del braccio avanti o indietro, i movimenti concatenati dello yoga, il tutto eseguito con una postura impeccabile).

Lo stretching attivo è sia statico che dinamico, mentre quello passivo è solo statico. La differenza è semplice: l’allungamento attivo dà risultati più duraturi nel tempo poiché è frutto di un allungamento muscolare volontario (ad esempio, mantenere una posizione seduta a terra, con le gambe tese avanti, ad una contrazione addominale e del quadricipite per portare il busto avanti, con la conseguenza di un allungamento dei muscoli antagonisti femorale e lombare); nell’allungamento passivo, il corpo non interviene direttamente contraendo il muscolo antagonista e, per questo, si avrà un allungamento del muscolo target più marcato.

Quando fare stretching?

La risposta è sempre la stessa: dipende. Dal grado di mobilità che si vuole raggiungere, se viene fatto in funzione di un gesto sportivo o per la prevenzione degli infortuni.

Prima di dare una (mia personale) risposta, proviamo a spiegare cosa accade fisiologicamente. Nei muscoli e nei tendini sono presenti organi di ricezione e attivazione, rispettivamente fusi neuromuscolari e organi tendinei del Golgi, che vanno a modulare la contrazione e l’allungamento muscolare per non incorrere in movimenti eccessivi. Se viene effettuato completamente “a freddo” prima dell’allenamento, questi organi non sono pronti a proteggerci, quindi potremmo incorrere in stiramenti e contratture. In questo caso, però, l’allungamento muscolo tendineo sarà massimale. I ginnasti lo eseguono spesso con questa modalità, poiché necessitano di ampiezze enormi di movimento. Se eseguito, invece, a fine allenamento, gli organi in questione saranno prontissimi ad intervenire in caso di eccessi. Come contro, però, il rischio è di allungare una muscolatura “frollata” dal lavoro. Cosa significa? Le fibre muscolari danneggiate durante l’allenamento si allungano di più. Inoltre, durante lo stretching, i ventri muscolari si assottigliano, comprimendo al loro interno tutte le strutture cellulari, tra cui i vasi sanguigni. Questi sono la principale fonte di eliminazione dei metaboliti residui della contrazione. Se vengono ristretti, si impiegherà più tempo ad eliminare le scorie e a recuperare.

Detto ciò, provando a rispondere alla domanda, possiamo proporre uno stretching a fine seduta per mantenere una discreta mobilità generale. Se, invece, si ricerca un allungamento maggiore, consiglio di effettuarlo PRIMA dell’allenamento, ma DOPO il riscaldamento, in modo da prevenire eventuali infortuni.

Un buon inizio allenamento può essere fatto, senza gravare troppo sulle tempistiche, con 5 minuti di “cardio” ad intensità crescente, che attiva i metabolismi energetici. 5 minuti di stretching dinamico, leggero e non iper-esteso, e 5 minuti di allungamento statico. 

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